lunedì 7 marzo 2016

A VOLTE SI VINCE




Ieri mattina mi sono svegliata all'alba per partecipare ad una competizione sportiva.
Dato che sono una giovane e atletica pischella nonostante l'età anagrafica che la mia carta d'identità mostra al mondo, mi sono pure piazzata quarta, con grande soddisfazione del mio ego.
Oggi però voglio parlare di quello che ho visto, attorno a me.
C'erano due ragazzine di dodici anni circa, in un altro gruppo.
Mi sono messa a guardarle attentamente prima che gareggiassero.
La prima indossava una faccia da funerale, tanto che ero tentata di avvicinarmi e chiederle se le fosse appena morto il gatto o il criceto. Chiamiamola Addolorata, per restare in tema.
La seconda invece appariva più serena, sorridente. Chiamiamola Gaia, per intenderci.
Conosco, almeno in parte, i meccanismi che stanno dietro alle loro due famiglie.
La famiglia di Addolorata è estremamente competitiva. E' tutto un paragonarsi, un litigare su robe come: "tu hai favorito sua figlia rispetto alla mia!" e amenità di questo tipo. Mi è stato raccontato che dopo una competizione in cui Addolorata non aveva ottenuto un impeccabile punteggio, la madre è calata negli spogliatoi femminili come una furia, inveendo sull'incapacità della figlia al punto da farla piangere, davanti allo sguardo attonito di tutti i presenti.
E poi c'è la famiglia di Gaia. La mamma di Gaia è molto stile hippy, vogliamoci tutti bene, litiga esclusivamente con la suocera, che a Pasqua vuole servire in tavola l'agnello. E' un tipo più spirituale, per lei l'importante è che sua figlia faccia attività sportiva, poi, che si tratti di gareggiare alla domenica mattina o di fare la corsa dell'isolato per cinque volte, per lei poco cambia.
Provate a indovinare, chi si è piazzata al primo posto?
Mi piacerebbe rispondere che ha vinto Gaia, e scrivere su quanto riusciamo ad attirare i successi nella vita, in base a quanto meno ci accaniamo nell'ottenerli.
Invece il primo posto sul podio l'ha preso Addolorata. Che continuava ad avere un'espressione tristissima nonostante la vittoria.
Gaia invece si è presa il quinto posto. E in quei bellissimi occhi di ragazzina dodicenne, non ho visto la benchè minima lacrima.
Così mi sono chiesta: ma chi ha realmente vinto?
Aveva davvero vinto Addolorata, che avrebbe portato a casa il suo trofeo da sfoggiare sulla credenza, sperando che la madre grazie a questo imparasse finalmente ad amarla?
O aveva vinto Gaia, che pur lottando con tutte le stranezze di sua mamma (perchè spesso quando sei un tipo spirituale risulti molto eccentrica agli occhi della massa...), dicevo, aveva vinto invece Gaia, che quella sera avrebbe chiuso gli occhi con la consapevolezza di essere  amata?
Credo che noi vinciamo, davvero, quando stiamo facendo qualcosa che ci piace, qualcosa che amiamo. Perchè solo allora, sia che saliamo sul podio, sia che perdiamo, avremo vinto comunque.
Io arrivo da una famiglia molto simile a quella di Addolorata, dove l'amore e l'affetto erano elargiti
(e con parsimonia) solo se io seguivo la religione, gli sport, i comportamenti sociali e affettivi imposti dalla mia famiglia. Altrimenti, non venivo più amata.
Che ricatto colossale, amare un figlio a patto che si comporti esattamente come vuoi tu. Costringerlo a barattare la propria libertà di espressione per ottenere l'affetto della sua famiglia.
Da piccolo purtroppo ci caschi, in questi meccanismi. E fai di tutto, pur di ottenere quell'approvazione. Poi cresci, e ti trovi di fronte ad un bivio. Puoi continuare così, anche tutta la vita.
Oppure puoi comprendere che tu sei più importante dell'approvazione degli altri, anche di quegli altri che hanno il tuo stesso sangue. Puoi ribellarti, rialzarti, staccare quel cordone ombelicale che ormai assomiglia ad un guinzaglio, e sentirti finalmente libera.
Io questo auguro ad Addolorata, e a tutti coloro che vivono per compiacere gli altri, e non se stessi.
Perchè altrimenti è solo una vita a metà, una vita in cui abbiamo magari vinto molte gare, ma abbiamo perso la cosa più importante: noi.