mercoledì 15 maggio 2013

IL MACELLAIO DELL'INTERNO CORTILE



Ad alcune mie fortunate e privilegiate clienti, è capitato l’onore di farsi ricevere nel mio secondo studio, non quello nelle profonde e nascoste oscurità del negozio, ma un altro, sempre lì vicino.
Intanto, ringrazio le mie clienti che sfidano la vita ogni giorno con le terribili scale dello studio in negozio. Neanche Escher, il pittore delle scale sottosopra, riuscirebbe a concepirle nella sua mente. Quando vedo una cliente col tacco 12 oppure over 70 inizio a pregare per lei… Ed effettivamente funziona, in più di dieci anni nessuno è mai scarapicollato giù.
Per sicurezza, mi ripeto mentalmente, io precedo la cliente, così se inciampasse potrei prenderla al volo… Grande utopia. Se inciampasse, mi travolgerebbe e rotoleremmo giù in due. Meglio non pensarci oltre, il pensiero è creazione, si sa.
Comunque, alcune mie fortunate clienti sono state ricevute nella “succursale” del mio studio, sempre vicino al negozio, il cui ingresso si affaccia su un colorato interno cortile.
Colorato non nel senso che ci sia chissà quale coriandolo di asciugamani stesi al vento; colorato per le persone che vi si trovano.
Su quell’interno cortile si affaccia anche un supermercato. Comodissimo se devo fare la spesa. Dal supermercato, una tetra e losca figura si affaccia perennemente sull’interno cortile per fumare, telefonare, e soprattutto osservare. Tale curioso individuo è meglio conosciuto come Pietro il Macellaio.
Sui cinquanta, cappellino bianco sugli occhi, barba sfatta, magrolino. Ha passato cinque anni a non riuscire a capire che fosse quel via vai di donne che ricevevo. Poi un giorno mi sono lasciata sfuggire, salutando una cliente, “fammi poi sapere come và il rito”.  Da quel giorno, una nuova ondata di rispetto lo ha portato a contraccambiare il mio saluto. Sì, perché prima, neanche mi salutava. Ammetto che magari un po’ aveva anche ragione.  Quando andavo al suo banco, chiedevo solo “un euro di macinata per il gatto”. Mio marito, al contrario, quando andava si divertiva a chiedergli le cose più introvabili o ricercate: il cuore di bue (giuro, da mangiare, niente riti…), la trippa di Moncalieri, la gallina vecchia per il brodo, i fegatini di coniglio, il bue di Carrù. Di conseguenza, se incrociava mio marito per strada era tutto un salutare ed elencare gli ultimi arrivi, quando incrociava me era uno sguardo silenzioso del tipo “ma guarda sta disgrasià…”
Comunque, da quando il Macellaio ha capito il mio lavoro, c’è stato un ribaltone. Ancora un po’, ora, mi ferma per mostrarmi la foto della nipotina sul cellulare. Ha pure regalato una campanellina di metallo a mio figlio. Lì probabilmente perché, prima ancora di imparare l’alfabeto, mio figlio diceva “C come cialciccia”. E il cuore del Macellaio lì non ha retto. Tutto mio marito il bimbo, l’ho sempre detto.
Il vero problema del Macellaio è quando il suo sguardo incrocia quello delle mie clienti. Si mette a fissarle, col suo cappellino storto sugli occhi, e le punta come se fossero delle cosce di pollo che camminano, delle tacchinelle ruspanti, delle lonze dalla carne tenerissima.
E le mie clienti, giustamente, si imbarazzano. Qualcuna mi ha pure chiesto chi fosse quel losco individuo col grembiule bianco macchiato di sangue che le stava squadrando stile Shining.
Tutto ciò per dirvi che, se vi capita di farvi fare un consulto da me, e per combinazione vi ricevo nella location dell’interno cortile, e uno strano tizio insanguinato vi punta…
Potete chiedergli lo sconto sul filetto. Non saprà resistere al vostro fascino.




Nessun commento:

Posta un commento