Ad alcune mie fortunate e privilegiate clienti, è capitato l’onore di farsi ricevere nel mio secondo studio, non quello nelle profonde e nascoste oscurità del negozio, ma un altro, sempre lì vicino.
Intanto,
ringrazio le mie clienti che sfidano la vita ogni giorno con le terribili scale
dello studio in negozio. Neanche Escher, il pittore delle scale sottosopra, riuscirebbe a concepirle nella sua mente. Quando vedo una cliente col tacco 12 oppure over 70 inizio
a pregare per lei… Ed effettivamente funziona, in più di dieci anni nessuno è
mai scarapicollato giù.
Per
sicurezza, mi ripeto mentalmente, io precedo la cliente, così se inciampasse
potrei prenderla al volo… Grande utopia. Se inciampasse, mi travolgerebbe e
rotoleremmo giù in due. Meglio non pensarci oltre, il pensiero è creazione, si
sa.
Comunque,
alcune mie fortunate clienti sono state ricevute nella “succursale” del mio
studio, sempre vicino al negozio, il cui ingresso si affaccia su un colorato
interno cortile.
Colorato
non nel senso che ci sia chissà quale coriandolo di asciugamani stesi al vento;
colorato per le persone che vi si trovano.
Su
quell’interno cortile si affaccia anche un supermercato. Comodissimo se devo
fare la spesa. Dal supermercato, una tetra e losca figura si affaccia
perennemente sull’interno cortile per fumare, telefonare, e soprattutto osservare. Tale curioso individuo è
meglio conosciuto come Pietro il Macellaio.
Sui
cinquanta, cappellino bianco sugli occhi, barba sfatta, magrolino. Ha passato
cinque anni a non riuscire a capire che fosse quel via vai di donne che
ricevevo. Poi un giorno mi sono lasciata sfuggire, salutando una cliente,
“fammi poi sapere come và il rito”. Da
quel giorno, una nuova ondata di rispetto lo ha portato a contraccambiare il
mio saluto. Sì, perché prima, neanche mi salutava. Ammetto che magari un po’
aveva anche ragione. Quando andavo al
suo banco, chiedevo solo “un euro di macinata per il gatto”. Mio marito, al
contrario, quando andava si divertiva a chiedergli le cose più introvabili o
ricercate: il cuore di bue (giuro, da mangiare, niente riti…), la trippa di Moncalieri,
la gallina vecchia per il brodo, i fegatini di coniglio, il bue di Carrù. Di
conseguenza, se incrociava mio marito per strada era tutto un salutare ed
elencare gli ultimi arrivi, quando incrociava me era uno sguardo silenzioso del
tipo “ma guarda sta disgrasià…”
Comunque,
da quando il Macellaio ha capito il mio lavoro, c’è stato un ribaltone. Ancora
un po’, ora, mi ferma per mostrarmi la foto della nipotina sul cellulare. Ha
pure regalato una campanellina di metallo a mio figlio. Lì probabilmente
perché, prima ancora di imparare l’alfabeto, mio figlio diceva “C come
cialciccia”. E il cuore del Macellaio lì non ha retto. Tutto mio marito il
bimbo, l’ho sempre detto.
Il
vero problema del Macellaio è quando il suo sguardo incrocia quello delle mie clienti.
Si mette a fissarle, col suo cappellino storto sugli occhi, e le punta come se
fossero delle cosce di pollo che camminano, delle tacchinelle ruspanti, delle
lonze dalla carne tenerissima.
E
le mie clienti, giustamente, si imbarazzano. Qualcuna mi ha pure chiesto chi
fosse quel losco individuo col grembiule bianco macchiato di sangue che le
stava squadrando stile Shining.
Tutto
ciò per dirvi che, se vi capita di farvi fare un consulto da me, e per
combinazione vi ricevo nella location dell’interno cortile, e uno strano tizio
insanguinato vi punta…
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