Mi capita spesso che qualche
cliente mi domandi, intimorita, se sarà in grado di svolgere il primo rito da
sola. È vero, il negozio di articoli per magia in cui collaboro fornisce una
pratica confezione semplicissima, completa di tutto, candele, incensi,
pergamene, talismano e istruzioni.
Ma alcune persone non
credono di esserne capaci, non credono che scorra abbastanza magia nelle loro
vene da permetter loro di compiere un lavoro magico.
Nessuno nasce imparato. La
Magia è essenzialmente tecnica, dedizione e… pratica.
Che noi possediamo nell’albero
genealogico stuoli di trisavole e bisnonne capaci di parlare coi morti ed
evocare i demoni, o che siamo semplici figli di “babbani” (Harry Potter docet),
poco cambia.
Come ripete sempre mio marito
(il titolare di tale negozio di magia), “c’è chi ha le gambe più lunghe, ma
tutti, con un po’ di esercizio, possono correre”.
Voglio svelare la mia
macchia vergognosa sul curriculum della maga perfetta. Ovvero, come sono andate
davvero le cose nel corso del mio primo rito magico.
Avevo come cliente una
famosa maga torinese. Vi chiederete, che ci faceva mai da me una maga col
doppio dei miei anni e della mia esperienza? Curiosamente, non se la sentiva di
operare per se stessa, e aveva dato fiducia a me, all’epoca poco più che
ventenne cartomante con lo studio arredato da poco.
Dovevo svolgere un rito per
propiziare il suo successo economico e lavorativo. Ok.
Convivevo già con quello che
sarebbe diventato mio marito (Andrea, il titolare del negozio Esotericamente,
per quei rari individui che ancora non lo conoscessero).
La casa era sua, i mobili
pure (piccola premessa che pare indegna di nota, ma che in seguito si scoprirà
essere importante…).
È una domenica mattina di
luna crescente di oltre 10 anni fà, all’alba, quella in cui mi appresto a fare
il mio primo rito. Non sono molto agitata, per il semplice fatto che sono circa
le 5 del mattino e sono ancora un po’ assonnata.
Accendo le candele, brucio
l’incenso, inizio le invocazioni… Tutto semplice insomma.
Fino a che non brucio, a
metà del rito, la pergamena con i sigilli. Le istruzioni riportano
“avvicinare alla fiamma
della candela un angolo della pergamena”. Ecco, la mia pergamena sembra essersi
fatta, a mia insaputa, un bidet nel kerosene.
(Con rispetto parlando). Insomma, mi parte una fiammata degna de
L’incendiaria. Prima di riportare ustioni di terzo grado alla mano, appoggio la
pergamena piromane al resto del rito e…
Il rito prende fuoco.
Iniziando ovviamente dal
tappetino in stoffa, che probabilmente pure lui non disdegnava i lavaggiuoli
nel kerosene. A quel punto, presa dal panico, prendo il foglio di istruzioni e
lo agito sulle fiamme… il che giustamente le espande ancora di più. Inoltre
rischia di prendere fuoco pure il foglio delle istruzioni.
Di colpo mi torna in mente
una lezione di Primo Soccorso, in cui consigliavano di spegnere l’incendio
soffocando la fiamma con delle coperte. Prendo il lembo di tessuto ancora
intatto del rito e lo premo sulle fiamme. Funziona. Il fuoco si spegne.
Passato lo spavento, mi
ritrovo in una stanza con dei sottili e persistenti strati di fumo. Inizio a
tossire e lacrimare. Ecco, penso che quasi tutti a quel punto, presi da estrema
disperazione, avrebbero lasciato la
stanza e deciso di darsi all’ikebana, alla ceramica su mattonella, al tiro al
piattello.
Io no. Stoicamente, con le
lacrime agli occhi per colpa dell’aria quasi irrespirabile, ho aperto la
finestra e ho continuato il rito fino alla fine.
Una volta terminato,
timidamente ho sollevato il tessuto bruciacchiato, e mi sono resa conto che le
fiamme avevano attaccato anche la scrivania di legno massello sottostante,
lasciando un cratere di circa una spanna.
A quel punto, dovevo
svegliare mio marito.
Le prime cose che il
poveretto ha notato, aperti gli occhi, sono stati i miei occhi lucidi, il tono
dimesso (rarissimo), i capelli e la veste puzzolente di fumo.
Io: “Ehm… è successa una
cosa…”
Mio marito: “Che cosa?”
“Ho dato fuoco al tavolo…”
Sguardo suo allibito –
preoccupato – incredulo - arrabbiato –
rassegnato (in questo preciso ordine).
Sono passati tanti anni da
allora. Decine e decine di riti eseguiti magistralmente. Per non sminuire il
mio ego, continuo a pensare che l’incendio fosse causato da un un colpo di
ritorno per chissà quale nefandezza occulta eseguita dalla mia cliente maga.
C’è sempre un motivo se una maga non si svolge un rito da sola, sappiatelo. Probabilmente temeva di morire incenerita
dalla collera divina. Curiosamente, non ha fatto domande quando si è vista recapitare
il pacchetto con il rito mezzo bruciato.
Da allora, mio marito, anche
se la prima ora magica comincia alle 5 del mattino, quando sa che devo “operare”
si sveglia insieme a me. Quando mi vede tornare dall’Athanor (un piccolo tempio
per la Magia Salomonica, posto sotto il negozio) mi chiede sempre, con curiosa
sollecitudine, com’è andato il mio rito. E sempre, sempre, con sorriso
sardonico, aggiunge: “Non hai bruciato niente, stavolta?”.
Insomma, vale come per
Einstein, suppongo, che venne bocciato in matematica.
Non lasciatevi demoralizzare da un primo
insuccesso.
Non pensiate che le maghe
abbiano l’Antica Scienza infusa nelle vene. Hanno iniziato, da qualche parte,
un po’ timidamente, proprio come tutte voi.
Marco Donatiello
Photographer
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